miti e leggende:Halloween

Discussione in "Archivio di tutto il resto" iniziata da alden55, il 1 novembre 2014.

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  1. alden55

    alden55 Colonnello del forum

    Allora passata indenne la notte delle streghe e fantasmi:oops:? Che ne dite di scrivere di miti e leggende di cui tutto il mondo ne è pieno? Proviamo? dai comincio con le origini di questa festa appena trascorsa....
    Dunque le primissime origini di Halloween si possono ricercare in riti antichi legati ai cambi di stagione, nelle feste del raccolto, e nei culti agresti in cui si tentava esorcizzare quelle paure ancestrali che accompagnavano delle antiche civiltà basate sull'agricoltura: paura di perdere i figli, di perdere il raccolto, terrore delle calamità naturali:Samhain (“fine dell'estate”) era un'antica festa celtica che può considerarsi la prima edizione della festa di Halloween;quando nell'alto medioevo il cristianesimo si diffuse nelle terre celtiche (Irlanda, Bretagna) e divenne la religione ufficiale della maggior parte dell’Impero Romano, una serie di editti papali istituirono un giorno di festa della chiesa, Ognissanti (o Tutti i Santi) da celebrare il 1 ° novembre di ogni anno. La chiesa cattolica avrebbe contribuito a dare il nome della festa: “Tutti i Santi”, infatti, si diceva All Hallows in Bretagna (Hallow significato proprio sacro o di colui che è santo).Halloween fu spesso in Europa anche una festa dell'abbondanza, perché segnava sul calendario la fine dell’anno del contadino. Le dispense erano piene, le greggi al riparo e si preparava un periodo di riposo e di vacanze invernali. Halloween assunse quindi, in particolare nei paesi della Gran Bretagna, lo spirito di una festa allegra e gioiosa, caratterizzata da spettacoli di strada, travestimenti, buon cibo, canti e filastrocche. Ma la leggenda mi direte voi..eccola eccola
    La leggenda di Jack’o'Lantern
    La più antica è una vecchia leggenda irlandese, ovvero il racconto popolare di Stingy Jack e il diavolo. La storia,narra che un uomo di nome Jack, noto baro e malfattore, ingannò Satana sfidandolo nella notte di Ognissanti a scalare un albero sulla cui corteccia incise una croce intrappolandolo tra i rami. Jack fece un patto col diavolo: se non lo avesse più indotto in tentazione e non avesse preso la sua anima lo avrebbe fatto scendere dall'albero. Alla morte di Jack, continua la leggenda, gli venne impedito di entrare in paradiso a causa della cattiva condotta avuta in vita, ma gli venne negato l’ingresso anche all'inferno perché non solo aveva ingannato il diavolo,ma aveva stretto un patto con lui,così la sua anima fu costretta ad un eterno vagare nel nulla.Allora Satana gli porse un piccolo tizzone d’inferno per illuminare la via nella tremenda tenebra che lo attorniava. Jack, triste e solo, intagliò una rapa (che nella tradizione sarebbe poi diventata una zucca) per contenere e trasportare il tizzone acceso e avere una lanterna che gli facesse luce e compagnia lungo il suo cammino senza meta.
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    “Lascia che Jack’o’Lantern proietti nel buio
    una luce dalle tonalità soffuse e dorate.
    Così trafiggerà il velo del futuro e mostrerà
    qual è il destino che tiene in serbo per te “.
    Spero vi sia piaciuta ,ora tocca a voi ;) buon fine settimana a tutti
     
  2. silvia8869

    silvia8869 Leggenda vivente del forum

    La leggenda di Aci e Galatea
    Narra un’antichissima leggenda greca che Nettuno, Dio del mare, correndo un giorno sulle onde, a cavallo di veloci delfini, vide apparire un‘isola meravigliosa, un golfo di immane bellezza ,recintato da due fiumi di cui uno era appena un torrentello, e sullo sfondo, maestoso faceva bella mostra di se, un vulcano, bellissimo, innevato, e le sue pendici erano ricche di frastagli di lave di boschi e di caverne. Era la Sicilia, e al Dio piacque tanto che vi mandò ad abitarla, facendoli uscire dal mare, i suoi figli.
    Costoro erano giganteschi esseri con un occhio solo, posto in mezzo alla fronte, e si chiamavano Ciclopi. I Ciclopi vissero in Sicilia, pascolando greggi di pecore e capre. Furono ottimi pastori e insegnarono agli uomini l’uso del burro e del formaggio.
    Ma Nettuno nel suo girovagare, ben presto si dimenticò di loro.
    E questi Ciclopi, benchè erano figli degli Dei, con il passare del tempo, essendo stati abbandonati su questa meravigliosa isola, diventavano sempre più brutti rozzi e cattivi.
    Due di questi in particolar modo cercavano di sopraffare gli altri e si chiamavano uno Polifemo e l’altro Bronte. Ciascuno dei due era riuscito a procurarsi la grotta più grande e più bella ,ed il gregge di capre e pecore più numeroso.
    All’alba di ogni giorno essi si incamminavano per le pendici dell’etna alla ricerca di buoni pascoli per la propria mandria, e quando li trovavano esaltavano di gioia, brontolando e sbattendo i pugni per terra o contro dei massi, facendo tremare tutta la montagna.
    Aci, figlio di Fauno e di una ninfa del Simeto, si innamorò perdutamente di Galatea, ninfa del mare, figlia di Nereo e Doride.
    Galatea poverina, era una ninfa disperata perché amata anche dal Ciclope Polifemo, ma egli era brutto e rozzo, e incuteva enorme paura con un suo unico e tremendo occhio fiammeggiante che sprigionava odio e paura proprio in centro la fronte, il passatempo preferito di Polifemo era di incutere paura e terrore alle persone che incontrava nel suo gironzolare con le pecore al pascolo, e quando stava ad oziare con Bronte, sdraiati sul colle del monte Ziretto, nei dintorni di Castelmola, all’avvistamento di barche di pescatori o di vascelli di conquistatori li prendevano di mira scagliandogli contro enormi massi. E gioendo con enormi brontoli delle loro male azioni.
    Ma per amore di Galatea smise di frequentare il ciclope Bronte e di gettare enormi sassi alle navi che transitavano lungo la sua costa.
    Un giorno, il Ciclope, preso dalla frenesia di vedere la sua amata Galatea, si mise a cercarla per tutto il bosco attorno all’Etna che conosceva molto bene.
    Quale non fu la sua ira nel vedere da lontano Galatea nelle braccia di Aci. Un urlo bestiale uscì dalla gola del terribile Ciclope.
    Dalla rabbia sradicò decine di alberi con le sue possenti mani,li prese e li lanciò contro di loro. Colmo di rabbia cominciò a battere con i pugni su un grosso masso, e lo sconquasso fece tremare tutta la montagna.
    Galatea impaurita si tuffò sott’acqua, nel mare lì vicino, Aci si diede alla fuga ma il Ciclope accecato dalla gelosia sradicò dal suolo una enorme roccia e la lanciò addosso ad Aci, schiacciandolo.
    Il corpo del povero pastorello era, lì, sotto la roccia senza più un fremito di vita.
    Appena la notizia giunse a Galatea questa accorse dove era il corpo di Aci. Alla vista del suo amore gli si gettò addosso piangendo tutte le lacrime che aveva in corpo. Il pianto senza fine di Galatea destò la compassione degli Dei che vollero attenuare il suo tormento trasformando Aci in un bellissimo fiume che scende dall’Etna e sfocia nel tratto di spiaggia dove solevano incontrarsi i due innamorati.
    Gli dei impietositi dalle grida e dal lamento di Galatea, trasformarono il sangue che usciva dalle vene di Aci agonizzante, in acqua che successivamente si trasformò in fiume. fu così per sempre congiunta al suo amore che ancora, quando le onde si intrecciano, alle falde dell’Etna, sembrano emanare una dolce melodia.. la dolce melodia degli innocenti.
    Ancora oggi, il fiume Jaci, diramato in tante fiumare, scorre nei sotterranei del suolo che ne porta il nome.
    Le sue acque gelide, scorrono fuggenti verso il mare, in cerca della sua amata Galatea.
    Lei, fedele lo aspetta, nella bianca spuma delle acque del mare.
    Ed è da allora, che un continuo susseguirsi di abbracci rigenera il loro predestinato amore, in un dolce eterno connubio.


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    (da qui i nomi dei paesi attraversati dal fiume, che iniziano tutti con Aci)​
     
    Ultima modifica: 1 novembre 2014
  3. Misakichan05

    Misakichan05 Ammiraglio del forum

    Dato che da me tra Halloween e Natale si festeggia anche il 13 dicembre....

    Tra leggenda e storia: Santa Lucia

    La storia

    Siamo nel IV secolo, in Sicilia, a Siracusa. Lucia è una giovane donna di una buona famiglia, fidanzata ad un concittadino e destinata ad un buon futuro di moglie e madre. La mamma si ammala e Lucia si reca in preghiera a Catania, sulla tomba di Sant'Agata, per invocarne la guarigione. Qui la Santa le appare e le chiede di dedicare la sua giovane vita all'aiuto dei più poveri e deboli, predicendole il martirio.
    Lucia torna a Siracusa e trova la mamma guarita. Rompe il fidanzamento, e decide di andare tra i poveretti che stanno nelle catacombe, con una lampada alla testa, e di donare loro tutta la sua dote. Il fidanzato non comoprende, si arrabbia e decide di vendicarsi, denunciando pubblicamente quella che avrebbe dovuto essere la sua futura sposa, con l'accusa di essere cristiana. Sono anni di persecuzione dei cristiani, sotto l'imperatore Diocleziano.

    Lucia ammette e ribadisce la sua fede, irremovibile anche sotto tortura, affermando che la sua forza viene non dal corpo, ma dallo spirito. Al momento di portarla via, l'esile corpo da ragazzina assume una forza miracolosa e né uomini, né buoi, né il fuoco, né la pece bollente riescono a smuoverla. Lucia viene così condannata a morte.

    Prima di morire riesce a ricevere l'Eucaristia e predice a Diocleziano la sua prossima morte e la cessazione delle persecuzioni entro breve. Entrambi i fatti si verificano nel giro di pochi anni.

    La leggenda

    La leggenda narra che la giovane Lucia abbia fatto innamorare un ragazzo che, abbagliato dalla bellezza dei suoi occhi, glieli abbia chiesti in regalo. Lucia acconsente al regalo, ma gli occhi miracolosamente le ricrescono e ancora più belli di prima. Il ragazzo chiede in regalo anche questi, ma la giovane rifiuta, così viene da lui uccisa con un coltello nel cuore.

    Le tradizioni

    In alcuni luoghi Santa Lucia viene festeggiata e fa le veci di Babbo Natale.
    In alcune regioni del nord Italia, come il Trentino, il Friuli Venezia Giulia, la Lombardia, l'Emilia e il Veneto esiste una tradizione legata alla Santa, il 13 dicembre, giorno della sua morte. I bambini le scrivono una letterina, dicendo che sono stati buoni e si sono comportati bene per tutto l'anno, e chiedendo in regalo dei doni. Preparano del cibo e delle carote sui davanzali delle finestre, per attirare la Santa e il suo asinello e poi vanno a letto perché se la Santa arriva e li trova alzati lancia loro della cenere o della sabbia negli occhi e li acceca.
    In Svezia e in Danimarca è abitudine che la mattina del 13 dicembre la figlia primogenita si vesta con una tunica bianca e una sciarpa rossa in vita e, con il capo coronato da un intreccio di rami verde e sette candeline, porti caffè, latte e dolci ai famigliari ancora a letto, accompagnata dalle sorelle più piccolo vestite con tunica e cintura bianche.

    Santa Lucia bella
    dei bimbi sei la stella,
    tu vieni a tarda sera
    quando l’aria si fa nera.
    Tu vieni con l’asinello
    al suon del campanello,
    e le stelline d’oro
    che cantano tutte in coro:
    “Bimbi, ora la Santa é qui
    ditele così:
    cara Santa Lucia
    non smarrir la via
    trova la mia porticina
    quella é la mia casina!”
    E giù tanti doni.
     
  4. .nutella.83

    .nutella.83 Mostro del forum

    La leggenda dei tre giorni della merla si perde nell'onda del tempo. Una storiella che ha infinite varianti da posto a posto. Una cosa é però in comune a tutti: la data. I tre ultimi giorni di gennaio, considerati appunto i più freddi nonché una specie di cartina di tornasole, dato che in base a come si presenta il tempo gli esperti sanno trarre indicazioni per come sarà il clima dell'anno. Non conta che qualche metereologo si sia affannato a dimostrare che non tutti gli anni é così, che anzi le medie dicono che c'é qualche altro giorno più freddo. La tradizione non si é spenta. O meglio, la tradizione non si era spenta. 1^ storiella...... Gli ultimi tre giorni di gennaio, il 29, 30 e 31, capitò a Milano un inverno molto rigido. La neve aveva steso un candido tappeto su tutte le strade e i tetti della città. I protagonisti di questa storia sono un merlo, una merla e i loro tre figlioletti..... Erano venuti in città sul finire dell'estate e avevano sistemato il loro rifugio su un alto albero nel cortile di un palazzo situato in Porta Nuova. Poi, per l'inverno, avevano trovato casa sotto una gronda al riparo dalla neve che in quell'anno era particolarmente abbondante. Il gelo rendeva difficile trovare le provvigioni per sfamarsi; il merlo volava da mattina a sera in cerca di becchime per la sua famiglia e perlustrava invano tutti i giardini, i cortili e i balconi dei dintorni. La neve copriva ogni briciola. Un giorno il merlo decise di volare ai confini di quella nevicata, per trovare un rifugio più mite per la sua famiglia. Intanto continuava a nevicare. La merla, per proteggere i merlottini intirizziti dal freddo, spostò il nido su un tetto vicino, dove fumava un comignolo da cui proveniva un po’ di tepore. Tre giorni durò il freddo. E tre giorni stette via il merlo. Quando tornò indietro, quasi non riconosceva più la consorte e i figlioletti erano diventati tutti neri per il fumo che emanava il camino. Nel primo dì di febbraio comparve finalmente un pallido sole e uscirono tutti dal nido invernale; anche il capofamiglia si era scurito a contatto con la fuliggine. Da allora i merli nacquero tutti neri; i merli bianchi diventarono un'eccezione di favola.
     
  5. brucelee75

    brucelee75 Esperto del forum

    Il ponte del Diavolo
    Edit rimossa immagine fuori misura e reflink da -*Anjo*-

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    La storia: Il ponte della Maddalena scavalca il fiume Serchio nei pressi di Borgo a Mozzano, in provincia di Lucca (vedi galleria). E' un'eccezionale opera di ingegneria medioevale, probabilmente voluta dalla contessa Matilde di Canossa. Fu fatto restaurare nel secolo XIII da Castruccio Castracani. Il ponte deve il nome ad una edicola, che custodiva al suo interno la figura della Maddalena, costruita intorno al 1500 e oggi non più esistente. Nei secoli è stato più volte rimaneggiato, mettendone a rischio la struttura. Un atto del 1670 della Repubblica di Lucca proibiva di passarci sopra con le macine di mulino: l'intento era di preservarlo nella sua integrità. Agli inizi del '900, per far passare la linea ferroviaria Lucca -Aulla, fu aperto un nuovo arco, che ne modificò notevolmente la fisionomia. La struttura, ardita, ad arcate asimmetriche, con l'arco centrale che sfida la forza di gravità, ha resistito nei secoli a innumerevoli piene e, ancora oggi, il ponte è percorribile a piedi grazie alla sua forma a "schiena d'asino".
    La leggenda: Il sinistro nome di Ponte del Diavolo è dovuto a una leggenda di cui esistono varie versioni. La più nota è quella che ci rimanda alla sua costruzione: si narra che il compito di edificare il ponte sia stato affidato a S. Giuliano l'Ospitaliere. L'opera si rivelò fin dall'inizio di difficile realizzazione. Il capomastro incaricato dell'opera, resosi conto che non avrebbe completato il lavoro per la scadenza prevista, era sprofondato nella disperazione: ma una sera, mentre sedeva da solo sulla sponda del Serchio, pensando al disonore che gli sarebbe derivato per non aver terminato il ponte in tempo utile, gli apparve il diavolo, che gli propose di stipulare un patto. Il maligno avrebbe terminato il ponte in una sola notte, ma ad una condizione: avrebbe preso l'anima di colui che avesse attraversato il ponte per primo. Il patto fu siglato: in una sola notte il diavolo con la sua forca sollevò la grande campata del ponte. Il costruttore, pieno di rimorso, andò a confessarsi da un religioso, che gli disse di rispettare il patto, ma di aver l'accortezza di far ad attraversare per primo il ponte a un… maiale. Il giorno successivo il capomastro impedì l'accesso alle persone e fece attraversare per primo il ponte alla bestia. La leggenda vuole che il diavolo, inferocito per la beffa, si sia gettato giù dal ponte nelle acque del Serchio e non si sia fatto rivedere mai più da quelle parti.
     
    Ultima modifica di moderatore: 2 novembre 2014
  6. silvia8869

    silvia8869 Leggenda vivente del forum

    Il ratto di Proserpina

    All'inizio dei tempi, sulla terra splendeva sempre il sole e la temperatura era sempre tra il mite e il caldo. I prati erano perennemente coperti di fiori e nei campi crescevano frutti, verdure e frumento tutto l'anno.
    Era la Dea Cerere che seminava, innaffiava le piante e faceva sì che gli alberi fiorissero e dessero frutti. Ella aveva una figlia, Proserpina, una fanciulla bionda e soave, sempre sorridente, con due grandi occhi dallo sguardo profondo.
    Mentre Cerere lavorava, sua figlia Proserpina giocava in compagnia di altre ninfe nei verdi boschi della Sicilia e la sera tornavano a casa insieme cantando e ridendo. Le splendide creature ridevano, scherzavano, gareggiavano nel raccogliere rose, giacinti, viole per fame ghirlande e adornarsi le vesti.
    Tra gli Dei, c'era però un Dio non altrettanto felice e fortunato. Era Plutone, il Dio dei morti, il quale non viveva insieme a tutti gli altri Dei sul Monte Olimpo, ma regnava sotto terra, al freddo e al buio.
    I raggi del sole non erano mai riusciti a penetrare in quelle tristi caverne, ed in questo lugubre luogo, Plutone viveva solo; nessuna donna aveva infatti mai voluto rinunciare allo splendore della luce, al calore del sole e alle bellezze della natura per diventare regina dell'oltretomba.
    Ogni tanto Plutone saliva in superficie per spiare la vita sulla terra, ma la luce del sole gli faceva male agli occhi ed inoltre, vedere tanta bellezza e tanto splendore, lo rendeva ancora più triste. Un giorno Plutone scorse Proserpina mentre raccoglieva fiori nel verde della sua amata Sicilia.
    Quando la vide se ne innamorò, ma sapendo che se fosse andato a chiederla in sposa a Cerere, entrambe avrebbero rifiutato la sua proposta, decise di rapirla, col consenso di Giove.
    Ed ecco ad un tratto avvenne un fatto prodigioso, un terribile boato lacerò l'aria. La terra si aprì e dal baratro balzò fuori, su un cocchio d'oro trainato da quattro cavalli nerissimi, un dio bello e vigoroso ma dallo sguardo triste. Con le sue braccia possenti afferrò Proserpina e la trascinò con sé incitando i cavalli a correre velocemente.
    Mentre Proserpina gridava supplicando di essere lasciata andare, Plutone continuava a galoppare verso l'Oltretomba fino a quando, colpendo la terra con la sua frusta, questa si riaprì ed il carro piombò nel baratro, portando con se la fanciulla.
    La fanciulla atterrita gridava con tutto il fiato che aveva in corpo, ma nessuno udì la sua voce. Implorò il padre Giove ma questi, avendo permesso il ratto, non volle aiutarla.
    Quando giunsero al fiume Acheronte, che divide il regno dei vivi dal regno dei morti, Proserpina gridò al punto che anche il fiume s'impietosì, e cercò di far cadere Plutone afferrandolo per le gambe.
    Ma Plutone scalciò con forza e si liberò e Proserpina, disperata, si tolse la cintura di fiori che aveva in grembo e la lanciò nel fiume , affinché le acque potessero portare alla madre il suo messaggio.
    Plutone e Proserpina giunsero nel regno dei morti e, mentre Plutone cercava di consolarla dicendole che sarebbe diventata regina, sulla terra era sceso il tramonto e quindi Cerere incominciò a chiamare e a cercare la figlia.
    Cerere cercò disperatamente la figlia in giro per il mondo ed intanto, per il dolore e la disperazione, lasciò appassire i fiori e smise di seminare sicché, il frumento ed i frutti , smisero di crescere.
    Dopo nove giorni e nove notti vissuti senza sonno e senza cibo alla ricerca della figlia scomparsa, dopa aver domandato notizie a tutti gli Dei dell'Olimpo, il decimo giorno decise di chiedere aiuto a Elios, il Dio Sole che tutto vede e tutto ascolta. Mentre il dio Elios le raccontava la verità ella vide scorrere lungo il fiume che stava accanto a lei una ghirlanda di fiori. Quella ghirlanda era la prova che il dio Eliot diceva la verità. Elios le disse pure che tutto ciò era stato compiuto con il consenso di Giove.
    Per il dolore, Cerere non si curò più della terra e quindi cessò la fertilità dei campi e vennero i tempi della carestia e della morte. Ella si era allontanata dal monte Olimpo e si era rifugiata nel suo tempio ad Eleusi. Così a poco a poco i frutti marcirono, le spighe seccarono, i fiori e i prati ingiallirono e infine la terra divenne brulla e riarsa.
    Giove, vedendo la fame sterminare intere popolazioni, mandò la dea Iride ad ammansire l'indignata Cerere, la quale, irremovibile nel suo dolore, rispondeva che sarebbe tornata alle cure della terra solo se Proserpina fosse tornata.
    Giove decise allora d'inviare immediatamente Mercurio ad avvisare Plutone affinché restituisse Proserpina alla madre, ma Mercurio, per quanto veloce, arrivò troppo tardi.
    Plutone infatti aveva fatto preparare sopra la tavola un bel cespo di frutta per tentare la bella Proserpina a mangiarne cosicché per la legge divina ella non potesse tornare sulla terra.
    Proserpina anche se aveva resistito tanti giorni alla fame fu tentata da un frutto particolare che già aperto era in mezzo all'altra frutta, il melograno . Ne assaggiò sei chicchi, e Plutone andò da Giove dicendogli che non poteva più restituire Proserpina alla madre perché era stata infranta la legge divina, e la legge diceva che chiunque avesse assaggiato del cibo nella valle dell'Ade non sarebbe più potuto tornare nel mondo dei vivi.
    Giove però non considerò questo un evento così grave da impedire che Proserpina tornasse alla madre e decise che la fanciulla restasse nel regno dei morti tanti mesi quanti erano i chicchi di melograno che aveva mangiato, e per il resto del tempo tornasse alla madre
    Proserpina che voleva tornare definitivamente sulla terra gridò allora tutta la sua rabbia ed il suo odio a Plutone per l'inganno subìto e Plutone , che ne era innamorato ed avrebbe voluto essere amato a sua volta, impallidì, confessandole di averla rapita perché si sentiva troppo solo.
    Insieme a Mercurio la fanciulla ritornò nel mondo della luce e si recò nel tempio di Eleusi, dove trovò Demetra. Al solo vederla la dea si trasfigurò in volto, corse incontro alla figlia, l'abbracciò teneramente. Si consolarono a vicenda, parlando a lungo tra loro.
    Demetra comprese che il legame tra la sua amata figlia e Plutone era ormai indissolubile e perciò chiese a Giove di poterla avere con sé almeno per una parte dell'anno.
    Il dio dell'Olimpo la informò della decisione presa, così Demetra ritornò finalmente fra gli dei e la natura si risvegliò.
    Da quel giorno, ogni volta che Proserpina torna nel mondo, i prati si coprono di fiori, i frutti cominciano a maturare sugli alberi e il grano germoglia nei campi.
    È la stagione della Primavera.
    Il mito di Proserpina vuole quindi che l'arrivo della Primavera sia sancito dall'arrivo di Proserpina sulla terra, che porta con sé il soffio creatore dell'abbondanza e che il suo ritorno nell'Ade, sei mesi dopo, coincida con l'arrivo dell'autunno e dell'inverno, per tornare e rinascere nuovamente, insieme alla vegetazione, la primavera successiva.

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    foto della statua del ratto di proserpina
    in una città bellissima..
    Catania xD
     
  7. brucelee75

    brucelee75 Esperto del forum

    Il mito delle streghe
    Secondo una leggenda popolare la città di Benevento sarebbe il luogo privilegiato dalle streghe che di notte si radunano intorno ad un noce sulle rive del fiume Sabato. La diffusione del mito delle streghe risalirebbe alla dominazione romana e al paganesimo.

    Tuttavia, la leggenda del noce di Benevento si sarebbe diffusa intorno al VII sec. durante la dominazione longobarda ed il regno del duca Romualdo. Infatti, nonostante i dominatori si fossero formalmente convertiti al cattolicesimo non rinunciarono mai completamente alla loro fede pagana.

    In particolare si racconta che avvessero iniziato a svolgere un singolare rito nei pressi del fiume Sabato: alcune donne urlanti giravano saltando intorno ad un enorme albero di noce da cui pendevano serpenti. Inoltre di frequente svolgevano un rito guerriero propiziatorio in onore del dio Wotan durante il quale alcuni guerrieri correvano in sella al proprio cavallo intorno ad un albero sacro a cui veniva appesa una pelle di caprone e la colpivano con le loro lance allo scopo di strapparne dei brandelli che poi mangiavano. I cattolici beneventani collegarono questi riti alla già diffusa credenza popolare nella stregoneria.

    I guerrieri e le donne apparivano ai loro occhi l'incarnazione delle streghe, il caprone quella del diavolo, e le loro urla furono interpretate come riti orgiastici. Secondo la leggenda un sacerdote di nome Barbato accusò i longobardi di idolatria e quando Benevento fu assediata dai Bizantini nel 663 d.C., Romualdo promise a quest'ultimo che se fosse riuscito a salvare la città e l'intero ducato avrebbe rinunciato per sempre al paganesimo.

    Infatti, le truppe bizantine si ritirarono e Romualdo rispettò la promessa fatta. Barbato divenuto nel frattempo vescovo di Benevento avrebbe fatto provvedere lui stesso all'abbattimento e all'estirpazione delle radici del noce maledetto e in più per scongiurare il malefico avrebbe fatto costruire e consacrare al suo posto una chiesa.

    Tuttavia la leggenda delle streghe si diffuse soprattutto intorno al 1273 quando ritornarono a circolare racconti di riunioni notturne di donne intorno ad un albero sulle rive del fiume Sabato, idronomo da cui probabilmente deriva appunto il termine "sabba". Di conseguenza tutti credettero che si trattasse dell'albero abbattuto da San Barbato, risorto per opera del demonio.

    Le streghe, identificate nel dialetto locale con il termine di "janare" da "janua" ossia "porta", per la loro capacità di passare attraverso le porte, erano considerate portatrici di sciagure, di infertilità e autrici di orrendi malefici soprattutto a danno degli infanti.

    Ad esse si attribuivano malformazioni e malattie rare e tutto ciò che sembrava apparentemente inspiegabile. Intorno al XV la credenza era ormai così radicata che iniziò la cosiddetta "caccia alle streghe". o_O
     
  8. seralian

    seralian Imperatore del forum

    Se venite dalle mie parti, vi consiglio una visita a Bobbio, dove potrete ammirare un ponte unico al mondo , detto Ponte gobbo o ponte del diavolo

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    Narra la leggenda che ..........
    nel medioevo, la costruzione di un ponte era un'opera di grande ingegno, considerata quasi prodigiosa. Per questo la costruzione dei ponti ha dato origine a molte leggende, che spesso avevano come protagonista il diavolo, in quanto congiungere due luoghi che la natura (e Dio) aveva voluto separati era vista da molti come un'opera "diabolica".
    Secondo una prima antica tradizione, il maligno contattò san Colombano, che sarebbe poi diventato patrono del borgo, promettendogli di costruire il ponte in una notte, in cambio della prima anima mortale che lo avrebbe attraversato.
    Il santo, ansioso di portare la parola del Signore alle popolazioni che vivevavo al di là del fiume Trebbia, accettò.
    Nella notte, il diavolo convocò vari diavoletti che lo aiutarono nell'opera muratoria, reggendo le volte del ponte. I demoni erano di statura diversa e così le varie arcate del ponte uscirono di dimensioni variabili. Al mattino, il diavolo si appostò all'estremità del ponte, per esigere il suo compenso. San Colombano, però, gli mandò un cagnetto. Il diavolo, turlupinato, se ne tornò all'inferno, non prima di avere sferrato un calcio al suo manufatto, che da allora è anche sghembo.
    Altre versioni della stessa storia vedono l'attraversamento da parte di altri animali, una da parte dell'amico orso aggiogato sui monti, in un'altra il Demonio costruisce il ponte senza gobbe e san Colombano fa attraversare il ponte ad un asino; il Diavolo, per disperazione, si gettò nella Trebbia che scorreva sotto il ponte e la sua caduta in acqua causò la deformazione del ponte, che da allora è detto gobbo.
     
  9. .nutella.83

    .nutella.83 Mostro del forum

    [​IMG] La storia di colapesce

    Cola o Nicola è di Messina ed è figlio di un pescatore di Punta Faro. Cola ha la grande passione per il mare. Amante anche dei pesci, ributta in mare tutti quelli che il padre pesca in modo da permettere loro di vivere. Maledetto dalla madre esasperata dal suo comportamento, Cola si trasforma in pesce. Il ragazzo, che cambia il suo nome in Colapesce, vive sempre di più in mare e le rare volte che ritorna in terra racconta le meraviglie che vede. Diventa un bravo informatore per i marinai che gli chiedono notizie per evitare le burrasche ed anche un buon corriere visto che riesce a nuotare molto bene. Fu nominato palombaro dal capitano di Messina. La sua fama aumenta di giorno in giorno ed anche il Re di Sicilia Federico II lo vuole conoscere e sperimentarne le capacità. Al loro incontro, il Re getta una coppa d’oro in mare e chiede al ragazzo di riportargliela. Al ritorno Colapesce gli racconta il paesaggio marino che ha visto ed il Re gli regala la coppa. Il Re decide di buttare in mare la sua corona ed il ragazzo impiega due giorni e due notti per trovarla. Al suo ritorno egli racconta al Re d’aver visto che la Sicilia poggia su tre colonne, una solidissima, la seconda danneggiata e la terza scricchiolante a causa di un fuoco magico che non si spegneva. La curiosità del Re aumenta ancora e decide di buttare in acqua un anello per poi chiedere al ragazzo di riportarglielo. Colapesce è titubante, ma decide ugualmente di buttarsi in acqua dicendo alle persone che avessero visto risalire a galla delle lenticchie e l’anello, lui non sarebbe più risalito. Dopo diversi giorni le lenticchie e l’anello che bruciava risalirono a galla ma non il ragazzo, ed il Re capì che il fuoco magico esisteva davvero e che Colapesce era rimasto in fondo al mare per sostenere la colonna corrosa.
     
    Ultima modifica: 3 novembre 2014
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  10. RosaMistica

    RosaMistica Comandante del forum

    LA LEGGENDA DELLA LUNA PIENA (leggenda indiana)
    Una calda notte di luglio di tanto tempo fa un lupo, seduto sulla cima di un monte, ululava a più non posso. In cielo splendeva una sottile falce di luna che ogni tanto giocava a nascondersi dietro soffici trine di nuvole, o danzava tra esse, armoniosa e lieve. Gli ululati del lupo erano lunghi, ripetuti, disperati. In breve arrivarono fino all’argentea regina della notte che, alquanto infastidita da tutto quel baccano, gli chiese: - Cos’hai da urlare tanto? Perché non la smetti almeno per un po’?- - Ho perso uno dei miei figli, il lupacchiotto più piccolo della mia cucciolata. Sono disperato… aiutami! - rispose il lupo. La luna, allora, cominciò lentamente a gonfiarsi. E si gonfio, si gonfiò, si gonfiò, fino a diventare una grossa, luminosissima palla. - Guarda se riesci ora a ritrovare il tuo lupacchiotto - disse, dolcemente partecipe, al lupo in pena. Il piccolo fu trovato, tremante di freddo e di paura, sull’orlo di un precipizio. Con un gran balzo il padre afferrò il figlio, lo strinse forte forte a sé e, felice ed emozionato, ma non senza aver mille e mille volte ringraziato la luna. Poi sparì tra il folto della vegetazione. Per premiare la bontà della luna, le fate dei boschi le fecero un bellissimo regalo: ogni trenta giorni può ridiventare tonda, grossa, luminosa, e i cuccioli del mondo intero, alzando nella notte gli occhi al cielo, possono ammirarla in tutto il suo splendore. I lupi lo sanno… E ululano festosi alla luna piena.
     
  11. .nutella.83

    .nutella.83 Mostro del forum

    [​IMG] . la leggenda della sicilia

    Narra una leggenda, nata per spiegare perché a quest'isola fu dato il nome di Sicilia (anticamente era Trinacria, cioè la terra dei tre promontori) che ad una bellissima principessa Libanese, il cui nome era appunto Sicilia; era stato predetto da un oracolo, che al compimento del suo quindicesimo anno di vita, avrebbe dovuto lasciare, da sola e in una barca, la sua terra natia, e che se non l'avesse fatto sarebbe finita nella fauci di "Greco-levante" che le sarebbe apparso sotto le mostruose forme di un gatto mammone e l'avrebbe divorata. Per scongiurare alla bella principessa questo tremendo destino, al compimento del quindicesimo anno di età i suoi genitori, piangenti e disperati dal dolore, la misero in una barchetta e la affidarono alle onde. Passo tre mesi in balia delle onde e quando ormai la povera Sicilia credeva che il suo destino volgesse al termine, dal momento che non aveva più viveri e acqua, spinta da venti favorevoli approda in una spiaggia meravigliosa, piena di fiori e di frutti, ma completamente deserta e solitaria. La giovane principessa era disperata e pianse tanto fin quando non ebbe più una lacrima da versare, ecco improvvisamente spuntare accanto a lei un giovane bellissimo, che le diede conforto e amore. Il giovane ragazzo le spiego che gli abitanti dell'isola erano morti tutti di peste, e che il destino avesse scelto proprio loro per ripopolare questa terra con una razza più forte e gentile, per cui l'isola si sarebbe chiamata col nome Sicilia.
     
    Ultima modifica: 3 novembre 2014
  12. alden55

    alden55 Colonnello del forum

    [​IMG] sono davvero bellissime alcune le conosco( ho la mamma di Catania carissima silvia8869)altre no e mi sono divertita un mondo a leggerle,grazie per aver trovato il tempo di scriverle:) ed eccone che gli anglo sassoni hanno fatto..loro
    La spada nella roccia: storia e leggenda
    Galgano visse la fanciullezza da cavaliere giovane, libertino e dedito ai divertimenti più sfrenati, finché qualcosa gli fece cambiare vita e trasformandolo in un vero e proprio Santo Cavaliere di Dio.
    Accadde che, un giorno, mentre viaggiava verso una giornata dedicata a lussuria e gozzoviglie, ebbe improvvisamente due visioni dell'Arcangelo Michele. Nella prima l'Arcangelo solo gli si manifestò innanzi, nella seconda lo invitò a seguirlo. Galgano, accettato l'invito e, attraversato un ponte e un prato fiorito, raggiunse Monte Siepi, dove si trovò dinnanzi a un edificio rotondo (probabilmente una visione di un edificio, dato che l'eremo fu costruito dopo la sua morte) e ai dodici apostoli. Venne da loro accolto e, aprendo un libro sacro, gli apparve il Creatore che lo convertì definitivamente.
    Ritornò comunque alla sua vita di tutti i giorni, finchè accadde un secondo episodio, questa volta definitivo per il suo destino. In una tranquilla giornata il proprio cavallo si rifiutò di continuare il cammino, e, prendendo di sua iniziativa il percorso da seguire, lo ricondusse di nuovo a Monte Siepi, esattamente nello stesso luogo dove precedentemente aveva incontrato i dodici apostoli, a quel punto Galgano non ebbe più dubbi, quello era un luogo sacro e, come tale, meritava un'identità, una croce. Cercò del legname per costruirla, ma, non trovandone, decise di prendere la propria spada e conficcarla nella roccia, apparendo così una croce perfetta a chiunque la guardasse. Inoltre, prese il proprio mantello e lo indossò come saio.
    A quel punto sentì una voce santa che lo invitò a fermarsi per tutta la vita in quel luogo, Galgano accettò di nuovo l'invito, e diede inizio alla sua autentica vita da eremita, vivendo da quel giorno tra quei boschi e nutrendosi solo di erbe selvatiche.
    Durante una sua assenza, per un pellegrinaggio a Roma, la spada subì un tentativo di furto e venne forzata da tre ladri, che non riuscendo nell'intento di sfilarla, la ruppero e l'abbandonarono (la spada è infatti realmente spezzata). Il castigo divino non perdonò l'atroce misfatto e raggiungendoli, uno venne fulminato all'istante, un altro annegato, mentre il terzo venne aggredito da un lupo che gli tranciò entrambe le mani (nell'eremo, in una bacheca è possibile vedere le ossa delle mani del ladro), ma venne risparmiato all'ultimo momento perché, pentito, invocò il perdono di Galgano.
    Al ritorno Galgano trovò la spada spezzata, se ne dispiacque molto, ritenendosi responsabile dell'accaduto, dato che si era allontanato. Ma intervenne la voce divina che gli disse di unire i pezzi, così facendo la spada si ricompose miracolosamente.
    Da quel momento Galgano restò in quel luogo fino alla fine dei suoi giorni, morendo in preghiera sulla spada.
    Quattro anni dopo la sua morte venne santificato da papa Lucio III.
    Il culto di San Galgano di diffuse a macchia d'olio tra i cavalieri e San Michele arcangelo, diventò il protettore della cavalleria.
    L'atmosfera dei luoghi che ospitano questa leggenda è magica e risulta difficile considerarla solo favolisticamente. Sono luoghi particolari, affascinanti, colmi di energia, di fronte ai quali non parrebbe difficile rivedere tutte le tappe della storia di San Galgano. La spada, strumento di guerra, viene trasformato in uno strumento di pace; il mantello, strumento di orgoglio di un cavaliere, viene a sua volta trasformato in uno strumento di umiltà. La storia Galgano è molto simile a quella di San Francesco, entrambi abbandonano un mondo di divertimenti vuoti e corruzioni, per dedicarsi al prossimo e alla preghiera.
    Vi sono parecchi punti in comune con la leggenda di Re Artù e i cavalieri della Tavola Rotonda, in cui vi è protagonista proprio la spada nella roccia, oltre che il cavaliere Gawain, dal nome identico a Galgano.
    La spada conficcata nella roccia infatti è la versione opposta di quella famosissima di Exalibur, estratta dal prode Artù e dotata di poteri mirabolanti.Molto si è detto e si continua a dire su questa spada di Montesiepi. A partire dal fatto che Galgano l'avrebbe conficcata nella roccia precedendo le primissime 'gesta arturiane'( o ciclo del Graal) narrate da Chrétien de Troyes,di circa un quarto di secolo.Questo avanzerebbe l'ipotesi che non si rifarebbe ad una tradizione 'folcloristica' trasmessa dalla Bretagna alla Toscana (dai cosiddetti trovatori medievali)ma il contrario:la'questue du Graal' potrebbe partire proprio da qui.
    Anche il nome rimanda alla Bretagna(Galvano era uno dei Cavalieri della Tavola Rotonda).
    Alla prossima...
     
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  13. RosaMistica

    RosaMistica Comandante del forum

    la leggenda dell'arcobaleno
    Lassù nel cielo c'è un luogo chiamato Ponte Dell'Arcobaleno. Quando muore un'amico peloso che è stato amato da qualcuno, questi sale su fino al Ponte dell'Arcobaleno,dove ci sono prati e colline a disposizione dei nostri amici,i quali possono correre e giocare assieme.C'è tanto cibo, tanta acqua, c'è tanta luce solare, ed i nostri amici sono al calduccio e a proprio agio. Tutti gli animali che si sono ammalati ritrovano la salute ed il vigore, quelli che sono stati feriti tornano intatti e forti, proprio come ce li ricordiamo quando li sogniamo ricordando i bei giorni passati assieme. Gli animali sono felici e contenti, salvo per una cosa: manca loro qualcuno che è stato veramente speciale per loro,dal quale hanno dovuto separarsi. Tutti loro corrono e giocano insieme, ma per ognuno di loro arriva un giorno in cui si fermano e guardano lontano all'orizzonte. I loro occhi lucenti sono all'erta, i loro corpi palpitanti. Allora si staccheranno dal gruppo, volando sull'erba verde, con le zampe che li condurranno sempre più velocemente. Vi hanno avvistato, vi hanno riconosciuto. Voi ed il vostro amico del cuore vi ritroverete, per non separarvi mai più. Una pioggia di baci vi ricoprirà il viso, la vostra mano potrà accarezzare di nuovo l'adorata testolina, e potrete guardare di nuovo negli occhi il vostro amico del cuore,che è stato fisicamente lontano da voi ma non è mai stato lontano dal vostro cuore. E allora attraverserete insieme il Ponte dell'Arcobaleno..."
     
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  14. alden55

    alden55 Colonnello del forum

    Secondo un’antica leggenda un fiume mitico scorre sotto Siena: La Diana.
    In due zone precise del centro, Pian d’Ovile e Pian dei Mantellini, molti sostengono di aver sentito il rumore dell’acqua, ma nessuno è mai riuscito a vederla. Avete mai provato ad ascoltare?Per secoli i senesi hanno cercato questo fiume.
    Fra il ‘200 e il ‘300 il Comune dette incarico anche a numerosi astrologi, nell'intento di scoprire l'esatta ubicazione del corso d’acqua misterioso.Si sarebbero invece imbattuti negli omiccioli e nei fuggisoli numerosi uomini impegnati nella costruzione e manutenzione dei bottini. Cosa sono gli omiccioli e i fuggisoli? si tratta di simpatici mostriciattoli. :eek:
    Ma il fiume fantasma, che molti hanno udito nelle notti silenziose e buie, non è mai stato trovato. Citata da Dante nella Divina Commedia, la Diana racconta della ricerca ossessiva di Siena per trovare l’acqua.
    Qualche temerario che volesse riuscire nell’intento può provare ad avventurarsi attraverso i Bottini, gli Acquedotti Medievali Senesi, attivi ancora oggi
     
  15. .nutella.83

    .nutella.83 Mostro del forum

    [​IMG] La leggenda della "Fonte di Aretusa" Aretusa era una delle ninfe che stavano nell'Acaia (Grecia). Era ritenuta una ninfa bella, sebbene non avesse mai aspirato ad avere la fama d'essere bella, anzi arrossiva delle sue doti fisiche, e, se piaceva se ne faceva una colpa. Un giorno mentre tornava stanca dalla foresta di Stinfàlo, si fermò nella riva di un fiume, trasparente fino al fondo, tanto che attraverso l'acqua si poteva contare tutti i sassolini. Desiderosa di farsi un bagno, si spogliò, e appese i molli veli a un ramo pendente di salice. Mentre batteva e traeva a se l'acqua guizzando in mille modi, sentì venire da sotto i gorghi uno strano bisbiglio ed atterrita risalì sulla sponda opposta. - Dove vai così in fretta, Aretusa? - gli chiedeva con voce roca Alfeo, il fiume su cui Aretusa si stava rinfrescando. Aretusa, impaurita, iniziò a correre senza vestiti addosso. Alfeo prese le sembianze umane, e iniziò a seguirla. Dopo tanto correre, Aretusa non c'è la fece più, così chiese aiuto alla dea Diana, la quale commossa la aiutò coprendola con una nube. Alfeo, non si dava per vinto, e girava e rigirava attorno alla nube sperando di vederla. Aretusa impaurita e scossa iniziò a sudare, tanto che tutto il suo corpo grondava di gocce azzurrine ed ogni volta che spostava il piede, si formava una pozza d'acqua; così, in poco tempo, Aretusa si trasformò in acqua. Alfeo, riconobbe nell'acqua l'amata, e lasciato l'aspetto umano, tornò ad essere quello che era, cioè una corrente, per mescolarsi a lei. La dea di Delo (Ortigia) fece uno squarcio nel terreno e , Aretusa, sprofondando in buie caverne giunse fino ad Ortigia dove per la prima volta riemerse in superficie.
     
    Ultima modifica: 4 novembre 2014
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  16. Pennywise

    Pennywise Apprendista

    La festa di Halloween in Sardegna è arricchita di fascino e mistero da una leggenda particolarmente inquietante: quella delle cosiddette sùrbiles, le donne-vampiro della tradizione sarda.
    Secondo la leggenda le sùrbiles succhiavano il sangue dei neonati non ancora battezzati: ungendosi di particolari unguenti e oli vegetali queste donne-vampiro si trasformavano in esserini simili a mosche, entravano nella camere degli infanti attraverso il buco della serratura e li dissanguavano.
    Le sùrbiles agivano con il buio, tra mezzanotte e le tre. Si credeva inoltre che l’ultima nata di sette figlie femmine fosse una di queste donne-vampiro. E questa leggenda è ancora viva in terra sarda, tanto che durante l’Halloween in Sardegna non si manca mai di rievocarla nelle storie tenebrose che si raccontano durante la festa di Ognissanti.
    Secondo altre leggende le sùrbiles erano delle streghe e ne ricalcavano l’iconografia classica: brutte megere che volavano a cavallo di una scopa e si nutrivano del sangue dei bambini.
    Per difendere i bambini dalle “attenzioni” delle sùrbiles c’erano diversi metodi: mettere delle scarpe ai piedi del letto, appendere foglie di arancio e d’issopo al muro, poggiare un treppiede (di quelli che si usano per cucinare nel focolare) alla porta della stanza.
    E se vi trovate a trascorrere la notte di Halloween in Sardegna, forse fareste bene a tenere in debita considerazione questi consigli…
    :eek::eek:;)
     
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  17. .nutella.83

    .nutella.83 Mostro del forum

    La leggenda di carini
    Aveva soltanto 14 anni Donna Laura Lanza quando, per volere del padre, sposò il barone di Carini. Di grande bellezza e ottima famiglia, Laura era una ragazza contesa, in grado di dar lustro a molte delle famiglie locali. I migliori candidati del tempo erano i Vernagallo e La Grua-Talamaca che pare abbiano bruciato i tempi e chiesto per primi la donna in sposa per il figlio Vincenzo, barone di Carini. Il 21 dicembre 1543 la giovanissima Laura si sposò, sebbene la simpatia e tenerezza che la ragazza provava verso Ludovico Vernagallo fossero note a tutti. Il matrimonio non turbò tuttavia il legame di amicizia tra le due famiglie, anche perché Ludovico era considerato di casa. Ma l’idillio non sarebbe durato. Col tempo iniziarono infatti ad emergere i primi contrasti tra i La Grua, i Lanza e i Vernagallo, conflitti che alimentarono insinuazioni e calunnie, portando inoltre a quel tragico evento per cui la storia della baronessa di Carini divenne in seguito leggenda. Stando ai racconti della tradizione, si narra che, in preda alla delusione per un matrimonio infelice e un marito che la trascurava, la donna, in realtà innamorata da sempre di Ludovico Vernagallo, abbia ceduto alla passione diventandone presto amante. Purtroppo scoperta sia dal marito che dal padre, la donna venne da loro brutalmente uccisa. Sempre secondo la leggenda, l’omicidio avvenne in una stanza poi crollata e originariamente situata nell’ala ovest del castello in cui viveva la famiglia, lì dove la stessa leggenda vuole che su una parete sia rimasta per lungo tempo l’impronta insanguinata della baronessa.
    I documenti che si riferiscono a questa vicenda confermano in parte la leggenda. Di alcune carte conservate negli archivi di Carini fa parte la comunicazione che l’allora Viceré di Sicilia fece alla Corte di Spagna di un omicidio appena avvenuto: Cesare Lanza, barone di Trabia e conte di Mussomeli, aveva ucciso la figlia Laura e Ludovico Vernagallo. Inoltre, conservati nell’archivio della Chiesa Madre di Carini, vi sono anche l’atto di morte della baronessa, redatto il 4 dicembre del 1563, insieme a quello di Ludovico. Non esiste invece alcun documento certo che attesti che tra i due giovani vi fosse in realtà un rapporto molto più che amichevole. Ed è qui, nella mancanza di altri dati che possano spiegare la dinamica del tragico evento, che ha attecchito la leggenda. Cesare Lanza di Trabia avrebbe ucciso con la complicità del genero la figlia Laura e, attraverso dei sicari, anche Ludovico Vernagallo, colpevoli di aver leso con il loro tradimento l’onore della famiglia.

    [​IMG]

    Informati da un frate del vicino convento della storia d’amore tra Laura e Ludovico, il padre e il marito della sposa preparano l’omicidio: il frate spione, accorgendosi dell’ennesimo incontro dei due amanti, avvertì don Cesare che corse a Carini accompagnato da una sua compagnia di cavalieri, fece circondare il castello per evitare che i due amanti tentassero la fuga, irruppe nella stanza e, sorprendendoli, li uccise.
    Venuto a conoscenza del delitto, il viceré applicò la legge prevista per il reato: bandì Cesare Lanza e il barone di Carini, i cui beni vennero confiscati. Don Cesare si rivolse allora a re Filippo II, per spiegare i motivi che avevano portato lui e il genero a commettere l’omicidio dei due amanti. E lo fece con il seguente memoriale.

    Sacra Catholica Real Maestà,
    don Cesare Lanza, conte di Mussomeli, fa intendere a Vostra Maestà come essendo andato al castello di Carini a videre la baronessa di Carini, sua figlia, come era suo costume, trovò il barone di Carini, suo genero, molto alterato perchè avia trovato in mismo istante nella sua camera Ludovico Vernagallo suo innamorato con la detta baronessa, onde detto esponente mosso da iuxsto sdegno in compagnia di detto barone andorno e trovorno detti baronessa et suo amante nella ditta camera serrati insieme et cussì subito in quello stanti foro ambodoi ammazzati.

    Don Cesare Lanza conte di Mussomeli



    Appellandosi alle norme allora in vigore relative agli omicidi in caso di adulterio, per cui ai tempi la legge non puniva chi commetteva un omicidio contro due adulteri colti in flagrante,
    don Cesare chiese il perdono al sovrano e lo ottenne, e insieme a quello, riebbe anche le sue terre.
    Dopo quasi 450 anni dal misterioso delitto, nel febbraio 2010 il sindaco della cittadina nel palermitano ha fatto riaprire le indagini sull’omicidio della Baronessa di Carini, trasformando il castello in cui si sono svolti i fatti in un centro di investigazioni e di corsi sulle moderne tecniche di indagine scientifica.
    Che il mistero sulla morte della Baronessa trovi una soluzione o meno, la leggenda sulla vita della povera giovane continuerà ad alimentare il patrimonio delle tradizioni di Palermo. Ancora oggi, insieme ai vari aneddoti che accompagnano questa triste storia di amore, lotte e morte, si narra infatti che in una delle metope del torrione principale, proprio in quell’ala ovest del castello poi crollata in cui si svolse il crimine, vi sia scolpita una manina e che il fantasma di Donna Laura si aggiri ancora per il castello, in cerca di quella pace che non poté conquistare in vita.
     
    Ultima modifica: 5 novembre 2014
  18. RosaMistica

    RosaMistica Comandante del forum

    la leggenda delle farfalle
    Sulle rive del fiume Orinoco, molto tempo fa vivevano sette bellissime farfalle ballerine, che ballavano e ballavano sui petali dei gigli e dei papaveri della prateria.Ognuna di esse aveva il suo colore: arancione, azzurro, rosso, verde, giallo, violetto ed indaco. Alla sera rimanevano appese ad un fiore o ad una foglia e si consegnavano al sonno. Un giorno in cui le sette bellissime farfalle ballavano e ballavano, la gialla si ferì un’ala saltando verso un ramo e cominciò ad agonizzare.Le sue amiche si fecero attorno e vedendo che stava per morire si domandarono cosa potevano fare per rimanere vicine alla loro amica. All’improviso si udì una voce che disse loro: “Siete disposte a fare ogni sacrificio per non lasciar sola la vostra amica?” “Sì”, risposero tutte. Il cielo divenne subito scuro. Un fulmine traversò il cuore della prateria. La prateria sussultò lanciando un grido che si perse nell’immensità dell’universo. Un’ora dopo il sole tornò a brillare e nel cielo apparve l’arcobaleno con i suoi sette colori. Questi colori non erano altro che lo spirito delle sette bellissime farfalle.
     
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  19. alden55

    alden55 Colonnello del forum

    ll pozzo di Connla
    Leggenda irlandese

    Tanti e tanti secoli fa, lungo la costa irlandese nel punto in cui le città di Golwaj e Clifden si congiungono, c'era una piccola capanna sperduta e disabitata. Chi mai l'avesse costruita era a tutti ignoto. Gli uomini si rifiutavano di abitare quel luogo dove il cielo era quasi sempre grigio e raramente rischiarato dal sole. Inoltre il vento freddo dell' Atlantico vi soffiava così forte che sembrava voler strappare le poche forme di vegetazione che riuscivano a sopravvivere.
    Ma un giorno una giovane donna, con il suo figlioletto appena nato, si rifugiò nella capanna. Si adattò alla solitudine del luogo e imparò a difendersi dal vento e dalle piogge. Vìveva cibandosi degli animali che il mare depositava ogni giorno sulle spiagge e bevendo acqua piovana. Insegnò al suo bambino ad amare quell'universo che a tutti era sembrato ostile.
    Il piccolo crebbe e diventò un uomo forte e saggio. Conosceva ogni aspetto dell'oceano: capiva anche dai segnali più insignificanti l'arrivo delle tempeste, percepiva la direzione delle correnti, coglieva nel colore e nelle trasparenze delle acque l'approssimarsi delle maree. Intuiva inoltre il significato delle nuvole in cielo.
    Ciò che lo affascinava di più era però il mormorio delle onde; in riva al mare si sentiva rapito dal suono che proveniva dall'oceano, a volte dolce, a volte violento, ma sempre ricco di armonia e di mistero. Un giorno decise perciò di andare verso l'ignoto oltre la riva. Con una piccola zattera si abbandonò alle onde del mare e incominciò a remare guardandosi: intorno incantato: l'immensità dello spazio azzurro lo ammaliava.
    Dopo alcune ore di navigazione s'avvide con preoccupazione che stava per scatenarsi un uragano: la sua zattera non avrebbe potuto competere con le forze dell'oceano. Il giovane infatti lottò inutilmente contro le onde, che lo strapparono ai resti della zattera e lo inghiottirono.
    Fu trascinato nel fondo. Si trovò in un mondo calmo e tranquillo, dove strani esseri lo guardavano meravigliati. Infine la corrente, che diventava sempre più impetuosa, lo risucchiò verso un grosso pozzo che si trovava nelle profondità marine.
    Il giovane avvertì una strana sensazione; nel fragore delle acque, che cadevano nel pozzo, gli parve di udire un susseguirsi di espressioni. Erano tante parole nuove a lui sconosciute. Quanta dolcezza! E che suono meraviglioso producevano! Capì che le onde del mare gli parlavano e che egli ne comprendeva il messaggio.
    Durò un attimo quel viaggio misterioso. Poi si trovò di nuovo sulla sua spiaggia. Rivide le luci di sempre, ascoltò i rumori e gli echi a lui noti, risentì il canto degli uccelli. Guardò le onde del mare e vi scorse le tante forme di vita che ben conosceva: il polpo, l'aringa, la seppia. Di lontano intravide il delfino, la balena azzurra. Ma scoprì una cosa strana: era padrone, ad un tratto, di una gamma infinita di suoni e di parole. Con esse poteva descrivere l'universo che lo circondava. Pronunciò, per la prima volta, espressioni mai udite prima. Erano perfette.
    La madre sentì la sua voce, corse verso di lui per riabbracciarlo e rimase per ore ad ascoltare il suo dire.
    Anche gli uomini e le donne che abitavano nei punti più lontani dell'isola lo sentirono e accorsero. Non comprendevano quel linguaggio, eppure il ritmo era così melodioso che ne furono affascinati: era nata finalmente la poesia.
    Ma essa è una ricchezza di pochi. Chi vuole possederla deve infatti riuscire ad arrivare nelle profondità dell'oceano, nel pozzo sottomarino di Connla.
     
  20. .nutella.83

    .nutella.83 Mostro del forum

    la leggenda del mare
    Quando nacque, il Mare era placido e gaio.
    Cantava, accarezzava le terre che gli stavano vicine; voleva che le onde fossero educate e, prima che uscissero dalla verde casa di vetro, diceva loro:
    Mi raccomando: niente chiasso per la strada!
    Un giorno Milker, il padrone del mondo, condusse nell'abitazione di vetro del Mare una bellissima donna, Aki, e disse al Mare: - Ecco tua moglie.
    Il Mare fu molto contento.
    Gli piaceva avere una compagna che lo aiutasse a tener la disciplina tra le onde e tra i pesci.
    Ma ben presto si accorse che Aki era bisbetica.
    Pretendeva che nell'azzurro regno tutti, dalle trasparenti meduse ai salmoni argentati, seguissero i capricci più pazzi che le passavano per la testa.
    Il Mare, per un po' sopportò; ma visto che Aki non si placava con la dolcezza, adottò sistemi severissimi.
    Scoppiarono scenate d'inferno.
    Urlava la moglie, urlava il marito e le onde, sconvolte dal terrore, cercavàno inutilmente di fuggire lontano.
    Si scatenarono così le prime terribili tempeste.
    Da quel tempo, nell'oceano, ai periodi di bonaccia si alternano i periodi di tempesta.

    [​IMG]
     
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