miti e leggende:Halloween

Discussione in "Archivio di tutto il resto" iniziata da alden55, il 1 novembre 2014.

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  1. RosaMistica

    RosaMistica Comandante del forum

    LA LEGGENDA DEL SOLE E DELLA LUNA (leggenda africana)
    Tanti anni fa il sole e l’acqua erano grandi amici, entrambi vivevano insieme sulla terra. Il sole andava a trovare l’acqua molto spesso, ma l’acqua non gli contraccambiava mai la visita. Alla fine il sole domandò all’acqua come mai non andava mai a trovarlo a casa sua. L’acqua rispose che la casa del sole non era sufficientemente grande, e se lei ci andava con i suoi famigliari, avrebbe cacciato fuori il sole. Poi l’acqua aggiunse: - Se vuoi che venga a trovarti, devi costruire una fattoria molto grande, ma bada che dovrà essere un posto sconfinato, perché la mia famiglia è molto numerosa e occupa molto spazio. Il sole promise di costruirsi una fattoria molto grande, e subito tornò a casa dalla moglie, la luna, che lo diede ospitalità con un ampio sorriso quando lui aprì la porta. Il sole disse alla luna ciò che aveva promesso all’acqua, il giorno dopo incominciò a costruirsi una fattoria sconfinata per ospitare la sua amica. Quando essa fu pronta, chiese all’acqua di venire a fargli visita il giorno seguente. Nel momento in cui l’acqua arrivò chiamò fuori il sole e gli domandò se poteva entrare senza pericolo, e il sole rispose: - Sì, entra pure, amica mia. Allora l’acqua cominciò a riversarsi, accompagnata dai pesci e da tutti gli animali acquatici. Poco dopo l’acqua arrivata al ginocchio domandò al sole se poteva ancora entrare senza pericolo, e il sole rispose: - Sì L’acqua seguitò a riversarsi dentro. Allorché l’acqua era al livello della testa di in uomo, l’acqua disse al sole: - Vuoi che la mia gente continui ad entrare? Il sole e la luna risposero: - Sì. Risposero così perché non sapevano che altro fare, l’acqua seguitò ad affluire, finchè il sole e la luna dovettero rannicchiarsi in cima al tetto. L’acqua si rivolse al sole con la stessa domanda, ma ricevette la medesima risposta, e la sua gente seguitava a riversarsi dentro, l’acqua in breve sommerse il tetto, e il sole e la luna furono obbligati a salire in cielo, dove da allora sono rimasti.
     
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  2. .nutella.83

    .nutella.83 Mostro del forum

    Leggende delle Dolomiti /
    I Monti Pallidi Forse non tutti sanno che le Dolomiti vengono chiamate anche Monti Pallidi a seguito di un prodigioso incantesimo avvenuto ai tempi dell´antico Regno delle Dolomiti, quando la roccia delle montagne aveva lo stesso colore delle Alpi. Tale regno era ricoperto di prati fioriti, boschi lussureggianti e laghi incantati. Ovunque si poteva respirare aria di felicità e armonia meno che nel castello reale. Bisogna infatti sapere che il figlio del re aveva sposato la principessa della luna, ma un triste destino condannava i due giovani amanti a vivere eternamente separati. L´uno non poteva sopportare l´intensa luce della luna che l´avrebbe reso cieco, l´altra sfuggiva la vista delle cupe montagne e degli ombrosi boschi che le causavano una malinconia talmente profonda da farla ammalare gravemente. Ormai ogni gioia sembrava svanita e solamente le oscure foreste facevano da solitario rifugio al povero principe. Ma si sa, però, che proprio le ombrose selve sono luoghi popolati da curiosi personaggi, ricchi di poteri sorprendenti e capaci di rovesciare inaspettatamente il corso degli eventi. Ed è così che un giorno, nel suo disperato vagare, il principe s´imbatté nel re dei Salvani, un piccolo e simpatico gnomo in cerca di una terra per il suo popolo. Dopo aver ascoltato la triste storia del giovane sposo, il re dei Salvani, gli propose, in cambio del permesso di abitare con la propria gente questi boschi, di rendere lucenti le montagne del suo regno. Siglato il patto, gli gnomi tessero per un´intera notte la luce della luna e ne ricoprirono tutte le rocce. La principessa poté così tornare sulla terra per vivere felicemente assieme al suo sposo e le Dolomiti presero il nome di Monti Pallidi.
     
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  3. RosaMistica

    RosaMistica Comandante del forum


    Biancospino di Maggio
    Una delle storie della tradizione elfica italiana tramandata a voce da millenni.
    Con i sussurri è giunta a noi, ha viaggiato nel folto delle foreste, si è arrampicata attrarverso i secoli. Ed allora leggiamo insieme la storia della ninfa Biancofiore…


    C’era una volta in mezzo ai campi, lungo la strada maestra, una povera casa che somigliava a quelle disegnate dai bimbi, con una porticina, due finestre e un comignolo sul tetto, cinta da una siepe di spino brulla d’inverno, arida e polverosa nella buona stagione.
    Un comignolo fumava sempre, perché nonna Saveria alimentava il fuoco con rami verdi, spesso umidi, raccolti qua e là per i greti dei fossati, o per le callaie. Ma fuscelli, giunchi, foglie servivano per cuocere un po’ di cibo a Serenella, la nipotina, e per riscaldare durante l’inverno.
    Nonna Saveria, piccola, bianca, secca, con le mani quasi trasparenti, filava sempre accanto al focherello e vendeva le matasse ad un mercante che passava per il villaggio; Serenella, bionda più d’una spiga, chiara negli occhi come la primavera, porgeva i bioccoli di lana, riponeva le matassine filate, e se ne stava lunghe ore pensosa, senza giochi e senza letizia, come se per la felicità le mancasse qualche cosa.
    Un giorno il comignolo non innalzò il suo pennacchio di fumo, perché nonna Saveria rimase a letto con la febbre e Serenella non trovò più fuscelli nel cesto accanto al focolare, più farina nella madia, più lana da filare nel cassettone. Era inverno e fuori la terra era gemmata di brina, le piante stellate di ghiaccioli, i fossi lucenti di specchi di ghiaccio; e la nonna tossiva penosamente, senza chiedere nulla per sé, trepida solo della nipotina, che doveva aver freddo e fame.
    Serenella si guardò intorno sgomenta, e udì una vocina sottile sottile che la chiamava; la voce veniva dal focolare e la bimba non tardò molto a scorgere la testina nera di un grillo, il quale veniva fuori da un buco con archetto e violino, per mettersi in un angolo e intonare:

    «Serenella, Serenella!
    Per le rive, per la neve,
    c’è una bianca reginella
    ben ravvolta in nube lieve
    esci dunque, Serenella!»

    La bimba rimase perplessa, ma, poiché il grillo del focolare seguitava a dirle quelle parole misteriose, aspettò che la nonna si assopisse, quindi si ravvolse in un vecchio scialle ed uscì pian piano, pensando: “Troverò qualche giunco e farò un focherello a nonnina.”
    Camminò pel sentiero, trascinandosi dietro gli zoccoli, stringendosi sul petto i lembi dello scialle, cercando con gli occhi qua e là, ma le vecchie foglie erano fradice, qualche fuscello abbandonato si spezzava tra le dita, consumato dal gelo.
    Mentre si curvava al ceppo d’una quercia con ostinata e fiduciosa ricerca, si sentì tirare dolcemente le trecce bionde, che uscivano al di sotto dello scialle.
    «Che fai, bambina?»
    Serenella sollevò i suoi chiari occhi primaverili e vide una giovane donna, bianca come la neve, vestita di veli, quasi trasparente sullo sfondo della campagna, come fosse composta di vapori tenui. Lo splendore argentato della visione era rotto dall’oro dei capelli, un oro pallido, diffuso, come raggio di sole attraverso le nubi invernali.
    «Pochi fuscelli gelati» disse la strana apparizione «durerebbero poco e non toglierebbero nulla alla tua fame e a quella della tua nonna. Ascoltami, ti darò molta lana, tu la filerai e porterai il lavoro compiuto a questa quercia; batterai tre colpi sul tronco, chiamando Biancofiore, io verrò fuori, prenderò le matassine e ti darò nuova lana; così tutte le settimane. In compenso troverai nella tua casa fuoco e cibo.»
    Serenella disse: «Sì! Sì!» con un trillo di gioia, senza pensare che non aveva mai provato a reggere la conocchia e a prillare il fuso. Biancofiore le caricò le braccia di filoni di lana e sparì in uno scintillio di nebbia.
    La bambina trotterellò verso casa con quel peso inusitato, un po’ traballando sugli zoccoli, con le manine intirizzite, ma con il cuore traboccante di una gioia strana. Trovò sul focolare un bel fuoco crepitante su da un ceppo, tutto braci rosse e fiammole azzurre; appesa ad una catena c’era una pentola da cui si sprigionava col vapore uno squisito odor di brodo; nella madia molto pane, sul cassettone un decotto per la nonna.
    Serenella servì la vecchietta e prese il suo posto accanto al focolare con la conocchia erta da un lato e il fuso pendente dall’altro. Com’era difficile reggere l’una e muovere l’altro! I bioccoli di lana sfuggivano, si spargevano a terra, non obbedivano alle dita della bimba, che cercava di torcerli; il fuso, poi, si ostinava a rimaner fermo e, se roteava, faceva sbalzi improvvisi, rompendo il filo attaccato con tanta fatica.
    Serenella non si sgomentava, rizzava la conocchia, raccoglieva i bioccoli dispersi, torceva, prillava, riprovava, con una perseveranza che le veniva dal cuore. Finalmente, le ciocche di lana si assottigliarono in filo, e il fuso girò con ritmo abbastanza regolare.
    Alla fine della settimana tutta la lana era filata, un po’ grossa, con qualche nodo, a matasse non ben ravviate, ma Serenella disse a Biancofiore, presso la vecchia quercia: «È la prima lana che filo, quest’altra volta farò meglio.»
    Biancofiore prese alcuni fili, li foggiò a forma di stella e disse: «Appendile alla siepe della tua casa.» Le diede nuova lana e sparì con un barbaglio di nuvola.
    Serenella camminò per i campi, tra le falde di neve che cominciavano a turbinare nell’aria, e quando fu presso la brulla siepe che circondava la sua dimora si fermò per appendere ad uno sterpo le stelline di lana di Biancofiore, ma qualcosa frullò sul suo capo, un battito d’ala ed un uccello piccolo e gramo le si posò sulla spalla.
    «Dammi quelle stelline!»
    La bimba, ancora un poco spaurita dal volo improvviso, rispose: «Non posso, devo obbedire a Biancofiore.»
    L’uccello cinguettò dolcissimamente: «Sono Trillodoro, l’usignolo di maggio. Al cader dell’autunno avevo male ad un’aluccia e non potei volare in paesi più caldi. Abito in un buio gelido e le mie piume non bastano a ripararmi dai soffi del vento… dammi le tue stelline, voglio farmi un nido per non morir di freddo.»
    Serenella si commosse e diede le stelle di lana all’usignolo che frullò via tra i fiocchi di neve. Così per tutta l’invernata Biancofiore, mentre consegna la lana da filare, formava stellin di filo: «Appendile alla siepe de la tua casa.» Ma Serenella donava le minuscole stelle a Trillodoro, ci veniva sempre ad incontrarla al ritorno.
    Un giorno, non c’era neve e l’aria inazzurrata sapeva di viole, Biancofiore disse alla bimba: «Raccogli le mie stelline di lana e portale al ceppo della quercia.»
    Serenella s’allontanò sgomenta, affondando gli zoccoli nell’erba umida, che cresceva a ciuffi tra gli specchi d’acqua; i salici, i giacinti di penduli fiori d’oro, ondeggiarono sul suo capo come per confortarla, come per suggerirle un’idea, e questa venne perché, appena a casa, la bambina chiamò: «Grillo del focolare!»
    Il grillo canterino venne fuori e chiese: «Cosa desideri?»«Biancofiore vuole le sue stelline di lana.»
    Il piccolo musicista intonò sul violino: «Stelle di lana, stelle di luna darò nel maggio, a notte bruna.»
    Serenella tornò sui suoi passi, bussò al vecchio albero e Biancofiore, vestita ora di veli glauchi e viola come l’aria di primavera, ripete timida, pavida le parole del grillo.
    «Va bene, aspetterò maggio.»
    La bimba lavorò ancora, ma si rattristava delle margheritine che costellavano i prati, i mandorli e dei meli che sfiorivano, dei melograni che rossegiavano di fiori, del sole che si faceva più vivo, delle rondini che garrivano, garrivano la gioia nei cieli, delle prime rose che si aprivano; insomma, di tutte quelle cose meravigliose che annunziano maggio.
    La sera di Calendimaggio, allorché la luna inondò di chiarità i campi, Serenella udì cantare nella siepe, era un canto di gioia ed ella ne capì improvvisamente le parole:

    «L’usignolo Trillodoro
    t’ha portato il tuo tesoro
    di stelline piccoline, tutte bianche,
    tutte in fiore,
    per la ninfa Biancofiore.»

    La bambina uscì e vide che la siepe di spino era tutta fiorita di bianco, meravigliosamente, la fragranza inondava l’aria pareva una sola cosa con il canto dell’usignolo.
    «Grazie, Trillodoro! Porterò subito un fascio di biancospino a Biancofiore!»
    La ninfa, come avesse udito le sue parole, le apparve vestita questa volta di raggi di luna, le fece una carezza lieve sui capelli e sparì nella chiarità diffusa.
    A quella carezza Serenella capì che si può essere felici in una casa con una porticina, due finestre, un comignolo sul tetto simile a quelle disegnate dai bambini, con un grillo sul focolare, una siepe di biancospino, un usignolo che canta. Capì che la felicità è fatta di cose piccine nate dal cuor
     
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  4. alden55

    alden55 Colonnello del forum

    C’è una leggenda che mi piace un sacco e che trovo molto romantica: la leggenda del filo rosso del destino.
    La leggenda giapponese racconta che fin dalla nostra nascita ciascuno di noi porta legato al mignolo della mano sinistra un filo rosso. Questo filo ci lega alla persona a cui siamo destinati, alla nostra anima gemella, al nostro grande amore. Le due anime sono legate da questo filo, non importa la distanza temporale o spaziale che li divide, niente e nessuno può impedire loro di incontrarsi. Il filo rosso non si può spezzare, né si può tagliare: non si può sfuggire al destino, le due anime sono destinate a stare insieme… E voi credete al fatto che due persone siano legate da un filo invisibile sin dalla nascita e che siano destinate ad incontrarsi? Ecco la leggenda cinese.....:
    Il giovane Wei cercò per tanto tempo una donna da sposare e con cui creare una famiglia felice, ma non ci riuscì. 
Una sera, in una locanda, incontrò un uomo misterioso che gli disse una cosa sorprendente: la figlia del governatore sarebbe stata la donna giusta per lui. 
La mattina successiva Wei incontrò, sui gradini di un antico tempio, un vecchio che leggeva un libro in una lingua incomprensibile. Incuriosito gli chiese cosa fosse. Il vecchio rispose che egli veniva dall'aldilà e che era lì per occuparsi delle faccende umane, soprattutto dei matrimoni. Disse a Wei che la sua anima gemella aveva solo tre anni in quel momento e che lui avrebbe dovuto aspettare quattordici anni prima di incontrarla.
Così Wei, curioso, si fece accompagnare al mercato per vedere la sua futura sposa. La bambina era molto povera, vestita di stracci, e questo deluse molto il giovane Wei che, accecato dalla rabbia del momento, fece colpire la bambina con un coltello tra gli occhi e continuò la sua vita, dimenticandosi di questa storia.
Passarono altri quattordici anni senza che Wei, divenuto ormai parecchio ricco, riuscisse a trovare una sposa.
Il governatore della città dove viveva gli offrì in sposa sua figlia e così, finalmente, Wei ebbe una moglie. 
La giovane copriva sempre la fronte e questo incuriosì molto il marito che le chiese il motivo. 
La ragazza gli disse che era per coprire una brutta cicatrice e spiegò che se l’era procurata da bambina quando, all’età di tre anni, un uomo cercò di ucciderla al mercato.
Così Wei capì tutta la verità: sin dalla nascita siamo destinati a qualcuno e niente e nessuno può rompere questo legame
     
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  5. .nutella.83

    .nutella.83 Mostro del forum

    L’oro rosso di Sciacca.
    La leggenda della scoperta del corallo.
    L’antica poetica leggenda sulla scoperta del corallo di Sciacca. Nasce con la storia di Alberto Ammareddu, pescatore che amava Tina, una ragazza, che gli aveva donato una medaglia in segno di amore.
    Un giorno facendo manovra, la medaglia gli cadde in mare.
    Senza pensarci due volte si tuffò per recuperare la medaglia e scoprì il corallo.
    Questa è la poetica leggenda sulla scoperta del corallo, che si tramanda da una generazione all’altra.
    In verità, nel mese di marzo del 1875 tre pescatori saccensi:Alberto Maniscalco detto Ammareddu ,Alberto Occhidilampa e Giuseppe Muschidda si trovavano a pescare a 8,5 miglia da Capo San Marco e rimasero impigliati con le reti, scandagliando il fondale per verificare la causa per cui si erano impigliati si trovarono uno scoglio del tutto rivestito di corallo.
    Furono successivamente trovati diversi banchi di corallo,il primo era di circa 6000mq con profondità da 70 a 125 metri dal quale si ottenne più di 1000 tonnellate di corallo.
    Così nacque il periodo dello “oro rosso” di Sciacca [​IMG]
     
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  6. alden55

    alden55 Colonnello del forum

    Buon giorno e buon inizio settimana :), domani è S.Martino e di sicuro tutti conoscono la leggenda del cavaliere che divise in due il proprio mantello,ma non tutti forse conoscono questa sul famoso santo.....
    La leggenda di San Martino:
    San Martino era uno che si ubriacava sempre, un ubriacone.
    Una sera, era d'inverno ed era caduta un po' di neve, faceva molto freddo e San Martino era stato in una cantina e si era ubriacato.
    In quei giorni la moglie era incinta e stava per partorire. Mentre egli tornava a casa, gli venne uno scrupolo nell'anima. Disse fra sé e sé:
    "Ora torno a casa e vado a coricarmi accanto a quella poveretta, così intirizzito dal freddo come sono, ubriaco. Non voglio farla soffrire, per questa sera dormo giù nella nostra cantina."
    E così fece. Entrò giù nella sua cantina e si accovacciò in una nicchia scavata dentro il muro proprio dietro una grande botte. La notte, a causa del freddo, morì!
    Quando la sua anima giunse davanti a Dio, Dio vedendo che lui era morto per non fare del male alla moglie, lo fece santo.
    Invano la moglie lo aspettò: del marito non ebbe più notizie.
    Ma dal giorno della scomparsa cominciò ad accadere un fatto miracoloso: da quella grande botte che lei teneva in cantina, più vino cacciava e più ce ne ritrovava!
    Cos'è e cosa non è intanto la notizia si propagò. Vennero il prete e la gente dal paese per vedere quel miracolo. Il prete volendo accertarsi, osservò bene la botte sotto e sopra, davanti e dietro e che trovò?
    Vide il corpo del santo dentro la nicchia e vide che dalla sua bocca era spuntata una vite e questa vite era entrata dentro la botte. E quando guardarono dentro la botte, videro che questa vite aveva messo l'uva e l'uva diventava vino da sola.
    Allora dissero: "Solo un santo può fare un miracolo come questo!" E vi costruirono una chiesa.
    Ecco perché San Martino è il patrono del vino.

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  7. RosaMistica

    RosaMistica Comandante del forum

    la leggenda dei sempreverdi
    Nei tempi passati, al termine dell'estate, un uccellino si ferì ad un'ala, restando cosi da solo nel bel mezzo del bosco.
    Non potendo più volare, resto' praticamente in balia dell'inverno, che già faceva sentire i suoi primi geli.
    Cosi, domando' ad un enorme faggio di potersi rifugiare tra i suoi grandi rami, sperando di poter passare l'inverno al riparo dal cattivo tempo. Ma il faggio, altezzosamente, rifiuto' all'uccellino un piccolo riparo tra le sue fronde.
    Intristito, l'esserino continuo' a girovagare nel bosco, trovando di li a poco un grosso castagno e, speranzoso, ripete' la stessa domanda.
    Ma anche quest'albero rifiuto' all'uccellino la sua protezione.
    Cosi, nuovamente s'incammino nell'oscurità della foresta, alla ricerca di un riparo.
    Di li a poco si senti' chiamare:
    - Uccellino vieni tra i miei rami, affinché tu possa ripararti dal freddo.
    Stupito, l'uccellino si volto' e vedendo che a parlare era stato un piccolo pino, salto' lestamente su uno dei suoi rami.
    Subito dopo anche una pianta di ginepro offrì le sue bacche come sostentamento per il lungo inverno. L'uccellino ringrazio' più volte per tale generosità, che gli permise cosi di superare la cattiva stagione.
    , avendo osservato tutto, volle ricompensare la generosità del pino e del ginepro, ordinando al vento di non far cadere loro le foglie, e quindi da quel giorno furono "sempreverdi"

     
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  8. brucelee75

    brucelee75 Esperto del forum

    LEGGENDE E PERSONAGGI
    CASTELNUOVO DELL'ABBATE (SI) - ABBAZIA DI S.ANTIMOUN DONO PER LA GRAZIA
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    Uno dei più importanti esempi di architettura monastica del sec. XIII e sicuramente il più importante monumento romanico della Toscana meridionale. La chiesa attuale ha sostituito attorno al 1100 una preesistente abbazia del IX sec., della quale sono attualmente visibili pochi resti. Fu fino al sec XIV un importante centro spirituale, economico e culturale, nelle cui forme architettoniche richiamano molti elementi francesi.
    La possiamo trovare nella Valle Starcia. Esiste una leggenda che narra che nel 781 l'imperatore Carlo Magno, tornando con il suo esercito da Roma, passando lungo la via francigena, rischiò di essere colpito duramente dalla peste che imperversava in quelle zone. Carlo Magno fece dunque un voto dinnanzi al fiume Starcia, chiedendo di essere risparmiato, lui e i suoi soldati, che questa grave malattia cessasse. Così avvenne e, per ringraziare il miracolo, fece costruire l'abbazia di S. Antimo. Non a caso all'interno della chiesa è possibile visitare la cappella carolingia. Non è un caso che Carlo Magno edififcò l'abbazia proprio dedicata a questo santo.

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    Circa nel 303 d.C. capita che Faltonio Piniano, console romano dell'Asia, si ammali gravemente e che la moglie Lucina chieda ad Antimo di curare il marito. Antimo per salvargli la vita lo convertì al cristianesimo e il console, in riconoscenza decise di liberare i cristiani prigionieri. Se non che un sacerdote pagano impazzito iniziò a ucciderli tutti. Antimo si fece promotore anche di questa situazione liberando il criminale dai demoni e convertendolo. Di seguito si convertirono molte altre persone, che, entusiaste di questa uova forza religiosa abbetterono tutti gli alberi e gli altari del bosco sacro al dio Silvano (la divinità locale). Il popolo pagano chiese e fu accontentato l'arresto e la conversione al dio pagano di Antimo, il fautore di questi nuovi ribelli. Antimò rifiutò e venne gattato nel Tevere con un sasso legato al collo. Per l'intervento di un angelo venne salvato. I pagani alla vista di Antimo sano e salvo che pregava, si spaventarono e si convertirono a loro volta al cristianesimo. Ma Antimo venne nuovamente arrestato e questa volta decapitato. Il corpo fu ceduto a Carlo Magno che lo condusse in Toscana.

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    Edit-rimossi reflink. -*Anjo*-
     
    Ultima modifica di moderatore: 12 novembre 2014
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  9. .nutella.83

    .nutella.83 Mostro del forum

    la leggenda della mimosa[​IMG]


    C’era una volta, nel tempo in cui uomini di mare affrontavano l’ignoto per spirito di avventura e di conoscenza, un popolo forte e coraggioso la cui caratteristica peculiare era il colore dei capelli .
    Esso, a differenza di quello degli abitanti delle altre isole vicine, era del colore del sole.

    Specialmente le donne, forti e bellissime, erano orgogliose di quelle nuvole d’oro che pettinavano per lungo tempo al giorno, inventando elaborate acconciature con trecce e nastri.
    Ma i tempi erano difficili e, spesso, proprio mentre gli uomini del villaggio erano in mare per la pesca e per i loro commerci, l’isola di Rainhor veniva invasa e depredata dalle tribù nemiche.
    E molto ambite erano le giovani donne dell’isola.

    In uno di quei tristi giorni anche la dolce e bellissima Mihm, figlia del capo villaggio, cadde nella trappola tesale da un re nemico e venne rapita, insieme ad altre compagne, per far parte delle sue schiave.

    Il fitto dedalo di scogli dell'arcipelago e l'ostilità dei luoghi, fornivano a quei malvagi un nascondiglio perfetto di cui, difficilmente, i loro soccorritori delle ragazze avrebbero potuto aver ragione .
    La grotta dove erano state rinchiuse in attesa del loro triste destino, era accessibile solo dal mare, allorchè l’alta marea sommergeva la cavità d’ingresso, ben celata dagli arbusti che crescevano fin sopra gli scogli.
    Aveva un unico condotto d’aria, che aprendosi sulla volta della grotta, sbucava sulla sommità di una collinetta brulla a picco sugli scogli.
    Tutto intorno il mare con il continuo soffiare del vento e il rincorrersi di gabbiani gracchianti.

    La giovane Mimh, forte nella sua agilità, era ben decisa a non arrendersi al suo triste destino e, incurante del pericolo, decise che avrebbe dovuto fare qualcosa per salvare se stessa e le sue compagne.
    Fu così che chiese alle compagne di essere issata sulle loro spalle per potersi infilare nello stretto cunicolo e cercare aiuto dall’alto della collina; era infatti certa che i loro parenti, e soprattutto il suo promesso sposo, stessero cercando il nascondiglio per liberarle.

    Con grande sforzo la ragazza riuscì a raggiungere l’apertura collegata all’esterno e con abilità e determinazione si infilò fra le rocce , incurante dei graffi che la roccia le procurava nel tentativo di raggiungere l’esterno.

    L’ultimo tratto era anche il più stretto.

    Il tempo sembrava non passare mai e Mimh sentiva già venir meno la sua resistenza quando , con un ultimo sovrumano sforzo, riuscì a sporgere la testa dalla cavità.

    Da lontano vide le veloci barche della sua gente ma la sua testa affiorante dalla collinetta non poteva essere notata da così lontano!
    Allora, consapevole della sua fine ormai prossima, si sciolse le trecce e i suoi lunghi capelli biondi cominciarono a muoversi nel vento come una bandiera.

    Era il segno, l’ indicazione che gli uomini stavano ardentemente cercando.

    La fine della storia – racconta la leggenda – non fu lieta.

    Le compagne di Mimh furono liberate, ma la coraggiosa ragazza morì soffocata dal suo stesso ardimento e quello stretto cunicolo divenne la sua stessa tomba .
    Quando il suo promesso sposo si recò sulla collina per onorare il corpo della sua sfortunata sposa con una degna sepoltura, trovò al posto di Mihm una pianta dalle radici profonde e fortissime, e una grande chioma di fiori d’oro che si muovono al vento…..

    Era la mimosa.
     
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  10. alden55

    alden55 Colonnello del forum

    Il Fantasma di Monteriggioni

    Il Castello di Monteriggioni a vederlo da lontano, con i suoi emozionanti resti testimoni
    di un’epoca lontana, dà l’impressione che il tempo sia rimasto immobile fuori e dentro la cerchia delle sue mura.Si narra che all'interno del suo castello viva da secoli lo spirito del capitano Giovanni Zeti.
    Particolarmente bello il Borgo di Monteriggioni,detto anche la corona d'Italia, perché è la corona che cinge la testa dell'effige dell'Italia in virtù della sua emblematica inespugnabilità.Monteriggioni infatti per la tipologia della cinta muraria era considerata una fortezza inespugnabile; costruito dai Senesi nel 1213 per difendere dagli attacchi dei Fiorentini la città di Siena resistette per 300 anni sino al 1554, narra la leggenda che il Capitano Zeti ne era al comando quando, forse tratto in inganno da un espediente dei fiorentini, decise di arrendersi provocando una incredibile disfatta.Infatti il capitano della guarnigione si accordò segretamente con i fiorentini, consegnò la fortezza all'esercito fiorentino senza combattere, in cambio degli onori di soldato e dell’incolumità per la sua famiglia.
    Da allora, si narra che di notte nel castello, si sentano i lamenti strazianti del poveretto, ed ancora oggi, percorrendo le mura del castello, potrebbe capitare di sentirle.
     
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  11. RosaMistica

    RosaMistica Comandante del forum

    la leggenda di azzurrina
    favola, leggenda o verità? Mah, chi lo sa?

    Una cosa è certa: nel Castello di Montebello, situato su un aspro roccione nel territorio di Torriana (prime colline sopra Santarcangelo), visibile anche dalla Riviera, nella notte del solstizio d’estate si rivive una storia di fantasmi e misteri.

    Ogni 21 giugno (non tutti gli anni, si dice, bensì ogni lustro, cioè negli anni che finiscono con “zero” e “cinque”)… “durante il temporale la bambina farà sentire la sua voce”.

    Così dice la profezia (leggenda?) legata a Guendalina, figlia di Uguccione Malatesta,

    Nel solstizio d’estate del 1375, quando fuori infuriava il temporale, la bimba scomparve nei cunicoli della Fortezza. Il suo corpo non venne mai ritrovato.

    In quei giorni Ugolinuccio era impegnato in una violentissima battaglia contro i Montefeltro. La figlia, Guendalina, è impegnata nel gioco con una palla fatta di stracci. Alla sua difesa Ugolinuccio, personaggio severo e feroce, lascia due guardie. Queste non devono far altro che assecondarla senza mai perderla di vista. Le guardie ci riescono fino ad un certo punto. Il temporale che nel frattempo è scoppiato avvolge con un manto d’oscurità il Castello rovesciando sulla campagna attorno pioggia, fulmini e tuoni.

    Una corsa più lunga e la palla rotola verso la grotta in cui, solitamente, si conserva il cibo. Azzurrina cerca di raggiungere il giocattolo. Un passo, due, poi, sotto gli occhi delle guardie sorprese e spaventate, Guendalina scompare con un grido. Il silenzio torna ad inondare sale e stanze della Fortezza.

    Anche le ricerche dei giorni successivi non danno mai esito. Nemmeno una traccia della bambina. Vero, non vero che le guardie furono condannate a morte per aver fallito nel loro compito?

    Guendalina e i suoi capelli tinti con estratti di erba erano stati consegnati alla storia – leggenda.


     
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  12. alden55

    alden55 Colonnello del forum

    Tra un pochino saremo nel mese più bello dell'anno(almeno secondo me) ed eccomi di nuovo qui con delle leggende sulla festa più attesa dell'anno,e voi ne avete?
    La ghirlanda di Natale
    Tanto tempo fa la Vigilia di Natale una mamma decise di pulire e sistemare tutta la sua casa prima di decorare l’albero costringendo i ragnetti che vivevano nei paraggi a rifugiarsi in soffitta. Passato il trambusto, nel pieno della notte, gli animaletti uscirono e cominciarono a correre su e giù per l’albero per guardare da vicino quella meraviglia che vedevano per la prima volta. Così, quando babbo Natale arrivò lo trovò pieno di ragnatele. Capendo cosa era successo Santa Claus decise di far diventare quei fili d’oro e d’argento e così nacquero l’usanza delle ghirlande fatte di rami intrecciati con bellissime decorazioni.
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  13. alden55

    alden55 Colonnello del forum

    LA LEGGENDA DELL'ARCOBALENO
    Un giorno, padre Sole apparve al giovane Atsosi Bagani e gli disse che avrebbe dovuto cercare una moglie in un territorio lontano e sposare la primogenita delle sorelle, chiamate Quelle-che-il-sole-non-illumina, che vivevano in un pueblo scuro e buio. Gli spiegò che erano così belle che gli uccelli, invidiosi, le avevano imprigionate e che solo lui avrebbe potuto salvarle. Gli disse che avrebbe realizzato un ponte formato da tante strisce colorate, in modo che egli, trasformato in farfalla, potesse raggiungerle e portarle via.
    Atsosi, trasformato in farfalla variopinta, attraversò il ponte confondendosi con i suoi colori; arrivò nella loro casa e apparve alle sorelle, che tessevano un magnifico tappeto dai colori dell’arcobaleno. Le ragazze cercarono di prendere la farfalla, ma il Sole, che vegliava, le ridiede il suo aspetto reale.
    Il giovane si presentò alle ragazze e annunciò loro che avrebbe sposato la più grande e avrebbero convissuto tutti insieme nella sua casa piena di luce. Gli uccelli si lanciarono su di loro per beccarli, ma il Sole li trasformò in farfalle e li condusse fino alla capanna di Atsosi. Qui fu celebrato il matrimonio.
    Atsosi si dedicava alla caccia; le due sorelle tessevano tappeti, ma avevano nostalgia della loro casa buia.
    Il Sole volle aiutarle: diede a ciascuna due chicci di grandine per difendersi e le trasformò in farfalle.
    Appena gli uccelli si avvicinarono, scagliarono i quattro chicchi di grandine, che trasformarono progressivamente l'atmosfera in un temporale; dapprima nubi nere, poi pioggia scrosciante; ancora una grandinata e, infine, lampi e tuoni.
    Giunte in salvo nella loro casa, aspettarono la fine del temporale; poi risalirono sul ponte dai mille colori e raggiunsero nuovamente Atsosi
    Nonostante vivessero bene nella luminosa casa di Atsosi, periodicamente venivano prese dalla nostalgia e il Sole, ogni volta, ricreava il ponte colorato perché potessero raggiungere la loro casa buia e, successivamente, ritornare alla casa del sole.
    Da allora, quando scoppia un temporale, esso è sempre seguito dall'arcobaleno.
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  14. silvia8869

    silvia8869 Leggenda vivente del forum

    La leggenda del vischio

    C'era una volta, in un paese tra i monti, un vecchio mercante. L'uomo viveva solo, non si era mai sposato e non aveva piu' nessun amico.
    Il vecchio mercante si girava e rigirava, senza poter prendere sonno. Uscì di casa e vide gente che andava da tutte le parti verso lo stesso luogo. Qualche mano si tese verso di lui. Qualche voce si levò: - Fratello, - gli gridarono - non vieni?
    Fratello, a lui fratello? Lui non aveva fratelli. Era un mercante e per lui non c'erano che clienti: chi comprava e chi vendeva.
    Per tutta la vita era stato avido e avaro e non gli importava chi fossero i suoi clienti e che cosa facessero.
    Ma dove andavano? Si mosse un po' curioso. Si unì a un gruppo di vecchi e di fanciulli. Fratello! Oh, certo, sarebbe stato anche bello avere tanti fratelli! Ma il suo cuore gli sussurrava che non poteva essere loro fratello. Quante volte li aveva ingannati? Piangeva miseria per vender più caro. E speculava sul bisogno dei poveri. E mai la sua mano si apriva per donare. No, lui non poteva essere fratello di quella povera gente che aveva sempre sfruttata, ingannata, tradita. Eppure tutti gli camminavano a fianco. Ed era giunto, con loro, davanti alla Grotta di Betlemme. Ora li vedeva entrare e nessuno era a mani vuote, anche i poveri avevano qualcosa.
    E lui non aveva niente, lui che era ricco.
    Arrivò alla grotta insieme con gli altri; s'inginocchio insieme agli altri.
    - Signore, - esclamò - ho trattato male i miei fratelli. Perdonami. E cominciò a piangere. Appoggiato a un albero, davanti alla grotta, il mercante continuò a piangere, e il suo cuore cambiò. Alla prima luce dell'alba quelle lacrime splendettero come perle, in mezzo a due foglioline.
    Era nato il vischio.
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  15. alden55

    alden55 Colonnello del forum

    Ormai siamo vicini alla festa più attesa dell'anno e in ogni casa si trova oltre ad alberi luccicanti e presepi il classico dolce di natale..il panettone. Tante le leggende intorno alla nascita del buonissimo dolce. Tra queste, quella che vede il nome “panettone” derivare da “pane di Toni”: Toni, ritenuto il suo inventore, era un garzone di cucina della corte di Ludovico il Moro.
    Si narra che, nel corso di un banchetto offerto dal Duca in occasione del Natale, il cuoco di corte bruciò il dessert e la situazione fu salvata proprio da Toni , che aveva preparato un pan dolce con burro, canditi e pasta avanzati. Il dolce riscosse uno strepitoso successo e venne chiamato “pan del Toni” . Stando ad un’altra versione, il Toni della leggenda sarebbe un fornaio, padre della bella Adalgisa, amata dal cavaliere Ughetto degli Antellari. Ughetto, per conquistare l’amata, si finse apprendista fornaio e, una volta entrato nel laboratorio di Toni, preparò un dolce da offrire alla fanciulla. Il risultato fu ottimo e Ughetto coronò il suo sogno di sposare la sua bella, sotto la protezione di Ludovico il Moro e della moglie Beatrice. Un altra leggenda fiabesca intorno alle origini del dolce, attribuisce la sua invenzione ad Ughetta, monaca in un convento molto povero che, per celebrare il Natale in”sieme alle sue sorelle,aggiunse all’impasto di pane un po’ di zucchero, burro, canditi e uvetta (“ughett”, in milanese), tracciando con il coltello una croce sulla sommità del dolce in segno di benedizione.
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  16. -*Anjo*-

    -*Anjo*- Leggenda vivente del forum

    Buon giorno a tutti, :music:

    Sono passati tanti giorni dall’ultimo post, evidentemente l'interesse della Community per il tema si è decisamente affievolito :p
    Quindi per tenere in ordine il forum procedo alla chiusura e all’archiviazione di questo thread. ;)

    Buon proseguimento. xD
     
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